fu chiamato a ricoprire il posto di direttore del quotidiano L'Eco di Bergamo.
«Col primo giorno del prossimo venturo anno 1904, L'Eco di Bergamo avrà il suo nuovo direttore nel collega sac.
Clienze Bortolotti. Non abbiamo bisogno di presentarlo agli amici, ai lettori, al pubblico, poiché egli è
ben conosciuto nella sua provincia, nella regione e fuori; e vi si è fatto conoscere per la pietà, per
lo zelo sacerdotale e pastorale, per l'attività dell'uomo d'azione, per il valore della sua penna, per l'eloquenza
della sua parola, per la delicata generosità del suo cuore».
Con queste lusinghiere parole Nicolò Rezzara diede ai lettori del giornale l'annuncio della nomina del nuovo
direttore.
Le pagine del giornale divennero per lui una vera palestra di lotta in difesa e promozione dei grandi principi cattolici
contro avversari particolarmente agguerriti.
Conformemente allo spirito del tempo, poté esprimere tutta la sua carica di polemista e propagandista cattolico.
Tuttavia, pur nel fervore e nell'ardore della presa di posizione, non gli fece mai difetto la lealtà e la
generosità d'animo, tanto che più volte ebbe motivo di soddisfazione per l'ammirazione espressagli persino
dagli avversari.
Di lui scrisse l'avvocato Alfonso Vajana: «Don Clienze era un galantuomo ed una coscienza libera, pur essendo intransigente
nei suoi principi. lo ho avuto l'onore di essergli vicino, anche perché facevo parte del Consiglio dell'Associazione
della Stampa, e tengo tra le cose più care una sua fotografia con la seguente dedica: Ad Alfonso Vajana che sa
essere avversario leale ed amico sincero. Cito questa generosa dedica per dimostrare che, in sostanza, Don Clienze credeva
che si potesse vivere, anche in fraternità, pur essendo avversari e, pertanto, quando fu soppresso il Giornale di
Bergamo, Ciccio Scarpelli ed io gli fummo più cari di prima».
Per più di vent'anni don Clienze si profuse senza risparmio per servire la causa della Chiesa «battagliando»
da L'Eco di Bergamo, ma quando nel dopoguerra i tempi subirono forti mutazioni per nuove condizioni sociali e soprattutto
per il sorgere di nuove ideologie portate dagli estremismi di taluni partiti, anche il lottatore esperto rimase ferito.
Nell'autunno del 1925 don Clienze «lasciò la direzione del giornale e venne dal vescovo monsignor Marelli promosso
arciprete di Telgate» (con queste parole si espresse l'amico don Francesco Vistalli).
Con termini meno vellutati, ma più aderenti alla realtà, Gabriella Cremaschi scrive in una sua recente
pubblicazione: «L'atteggiamento apertamente antifascista dei mesi precedenti aveva fortemente irritato i
|
L'arciprete don Clienze Bortolotti.
fascisti, che
avevano messo in atto una violenta e volgare campagna di stampa: la sopravvivenza del giornale era legata a un netto
cambiamento di linea. Se si fosse voluto continuare a pubblicare il giornale si sarebbe dovuto
procedere all'allontanamento di don Bortolotti, diventato il bersaglio di tutte le ire. Si arrivò così
all'allontanamento di don Bortolotti, che nell'ottobre del 1925 venne nominato parroco di Telgate, e che, proprio per il
significato punitivo assunto dal suo allontanamento, divenne il punto di riferimento del giornalismo antifascista
bergamasco».
Ancora Alfonso Vajana scrisse: «Don Clienze compagno nostro pagò con noi e come noi. Una pubblica manifestazione
di stima indetta dall'Associazione della Stampa fu impedita dalla polizia. Tutti gli estimatori, però, trovarono
modo di manifestare il loro amore in occasione del suo ingresso solenne nella parrocchia affidatagli.
Don Clienze seppe essere anche parroco, ma soffrì molto per l'allontanamento dal giornale. Di tanto in tanto i
vecchi amici del giornalismo bergamasco erano invitati nella sua canonica di Telgate, e noi lo invitavamo quando ci
riunivamo a Bergamo, per farci sentire vicini a lui che moriva soffrendo la passione del giornale».
L'amico ed estimatore don Piermauro Valoti così testimoniò della sua attività di arciprete:
«Partì da Bergamo e se ne andò a reggere quale pastore d'anime l'antica parrocchia di Telgate.
Non nuovo per don Clienze l'alto e laborioso impegno. Nella sua giovinezza lo aveva sperimentato già con amore.
Lo riprendeva ora, dopo tante diverse vicende, dopo tante fatiche compiute. E lo riprendeva malgrado tutto, con rinnovata
energia. Vi doveva durare diciotto anni. E non certo come un
quiescente a riposo, ma come un pastore vigile, operoso, amorevole, diligente».
|