D'altra parte ai tempi del Calvi erano ancora in auge quegli errori e quei rigori del giansenismo che avevano procurato
e procuravano tanti dolori alla Chiesa, tanti danni alle anime, e da cui, purtroppo, non andavano esenti neanche tanti
ecclesiastici bergamaschi che pure occupavano posti distinti.
L'arciprete Calvi né si era lasciato fuorviare dai pericoli e dai danni del giacobinismo, né aveva lasciata
inaridire la sua Fede e isterilire il suo zelo dai rigorismi del Giansenismo. Col suo Vescovo, che lo amava; colla
Chiesa, ch'egli venerava qual Madre; con moltissimi eccellenti ecclesiastici bergamaschi, egli procedeva per le vie
maestre, all'apostolato delle anime proprie de' suoi tempi.
Impiegò il Calvi la maggior diligenza e le migliori sollecitudini per istruire e dirigere nella dottrina, nella
pietà, nel timor santo di Dio, le sue pecorelle, pronto a tutto, interessandosi di tutto e di tutti, intraprendente
di tutto ciò che potesse riguardare il suo ministero e la salute delle anime. Mercè il suo zelo, ottenne
tutto ciò che si proponeva di ottenere; e le liti terminate, e le animosità sopite, e le inimicizie tolte,
e le condotte riformate; e i figli resi obbedienti ai loro genitori e i mariti ridonati alle spose, e le autorità
divenute tra loro deferenti, e la frequenza alla Chiesa ed ai Sacramenti tornata in fiore.
Tanta era la persuasione che si aveva dell'Arciprete Calvi, tanta l'efficacia del suo intervento, che non vi era questione,
non solo dei suoi parrocchiani, ma anche di vicini e di lontani, e di quelli ancora della nativa sua Valle Brembana, che
a lui non si rimettesse per la decisione. Né soltanto i laici, ma anche i sacerdoti ed i parroci ricorrevano spesso
all'arciprete Calvi per consiglio ed indirizzo, riconoscendosi in lui non tanto la superiorità del grado, ma la
superiorità della mente e dell'animo, quantunque il Calvi cercasse di nasconderla tra frequenti e saporite facezie
che gli fiorivano naturalmente sul labbro e nel tratto, senza però ch'egli venisse mai meno alla dignità
sacerdotale e pastorale, e sempre serbando la illibatezza de' suoi costumi.
L'arciprete Calvi chiudeva piamente la sua vita benefica, fruttuosa di sagge opere e di cristiana edificazione, al
suo 74° anno di età, il 7 gennaio 1829; e si è conservato e pubblicato un sonetto da lui dettato alla
vigilia della sua morte, sulla sua «comunione per viatico» nel giorno dell'Epifania: sonetto da cui traspare sì
l'anima inspirata del poeta, ma anche l'anima pia, rassegnata, calda di santo amore del sacerdote e del parroco morente.
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Da quanto abbiamo più sopra brevemente detto, risulta evidente che Telgate non poteva lasciar passare la ricorrenza
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del primo centenario della morte del suo insigne arciprete don Giuseppe Calvi; senza una degna commemorazione, che ne
richiamasse la bella figura di letterato, di poeta, di sacro oratore, di arciprete.
E la commemorazione del letterato e del poeta si
ebbe mercoledì 22 gennaio 1929 sera al Salone Morali, in una bella accademia musico-letteraria, attraverso la
parola breve ma felice del prof. Gianni Gervasoni di Bergamo, rivolta ad un pubblico numerosissimo - tra cui le
autorità religiose e civili di Telgate e delle vicine parrocchie, nonché i discendenti della famiglia
Calvi residenti a Telgate e venuti da Moio de' Calvi - fra le belle armonie di un poderoso coro maschile e femminile,
con accompagnamento strumentale, istruito e diretto da don Angelo Sennhauser di Grumello del Monte.
La commemorazione del Calvi come arciprete e sacro oratore ebbe luogo giovedì mattina 23 gennaio, nella chiesa
parrocchiale, in un solennissimo officio funebre di suffragio, con musica di Perosi eseguita da un magnifico gruppo di
sacerdoti e di laici di Bergamo e d'altrove, e con l'elogio funebre recitato dal nostro arciprete don Clienze Bortolotti
ed ascoltato con religiosa pietà.
Così Telgate ha degnamente assolto il suo compito di rinverdire la memoria del suo celebre arciprete don Giuseppe
Calvi, perchè il ricordo di lui si perenni nei secoli.
(dal Bollettino parrocchiale del 1 ° luglio 1929)
Don CLIENZE BORTOLOTTI
ARCIPRETE DAL 1925 AL 1943
È stata una delle figure più prestigiose del clero bergamasco all'inizio del secolo, con una forte risonanza
della sua opera anche in campo nazionale.
Nacque a Sarnico nel 1862, fu ordinato sacedote nel 1885, e destinato come coadiutore a Grone ove fece sorgere un circolo
giovanile, che richiamò l'attenzione dei vari parroci della Val Cavallina che ne tentarono l'imitazione.
La sua personalità di promotore andava già delineandosi. Due anni dopo fu promosso parroco a Baresi, in
alta Valle Brembana, ove formò una Schola Cantorum da lui diretta, servendo all'occorrenza anche molte parrocchie
della valle.
L'interesse per il campo sociale lo indusse a creare subito una specie di «Segretariato degli Emigranti» che divenne
assai utile anche per le altre parrocchie della vicaria.
Si prestò per l'insegnamento delle materie letterarie nel collegio-convitto di Valnegra fino a quando nel 1895 gli
venne, in Bergamo, affidata la direzione del settimanale cattolico Il Campanone, succedendo al grande Nicolò Rezzara.
Erano quelli i tempi eroici dell'Azione Cattolica bergamasca, e don Clienze, con ingegno vivo e fede ardente, vi profuse
il meglio delle sue energie, tanto che
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