Fu nuova sconfitta. Il Fiamma annota che rimasero annegati 500 cremonesi, 1.100 bergamaschi, più di mille morti col ferro, cavalli, il carroccio e innumerevoli carri persi come bottino, ottocento prigionieri, ecc. Il grave infortunio, causa della disfatta, passò alle cronache con il nome di «Malamorte».
Il 14 gennaio 1192 si tennero trattative e nuova conclusione di pace. Le parti in causa si scambiarono il bacio in segno di amicizia e fu stabilita la pena di mille marche d'argento per chi avesse nuovamente violato i patti. Nessuna decisione però fu presa circa la proprietà dei castelli, solo nel 1198 fu definita per transazione, con riconoscimento pieno del feudo di Calepio per i conti di Martinengo,
il reintegro di ogni Chiesa e persona nei rispettivi possessi, definitiva convenzione sui confini tra bresciani e bergamaschi. Il castello di Volpino fu demolito perché non fosse più conteso da nessuno.
«L'atto fu rogato in giorno di martedì 9 agosto 1198 nel prato di S. Pietro di Valico (in territorio di Telgate) sotto una noce, dov'era una chiesa poco lungi da Palazzolo verso Telgate» (Ronchetti).
In simili tristi vicende Telgate non fu soltanto località dagli storici citata per i trattati di pace, ma anche coinvolta non poco sia per il reclutamento e passaggio delle varie milizie e sia per tutti i rischi e i danni derivanti dall'essere località di confine tra le opposte fazioni dei contendenti.

LE LOTTE DI FAZIONE: GUELFI E GHIBELLINI
Le lotte fra bresciani e bergamaschi, anche se aspre, furono un semplice «allenamento» a paragone delle lotte fra Guelfi e Ghibellini.
Scrive il Ronchetti: «Gravi contrasti affliggevano la misera Italia e la Lombardia, infierendo ovunque le fazioni dei Guelfi che seguivano il partito, come diceasi della Chiesa romana, e dei Ghibellini, che militavano contro a favore dell'Impero».
Fu un intrico indescrivibile di lotte, rivincite, vendette e sopraffazioni che videro contese e battaglie all'interno dei comuni stessi, lotte e discordie fra chi era già al potere e chi desiderava andarci, lotte tra le varie classi sociali e tra i diversi membri all'interno delle classi stesse.
Le «maledette fazioni» come scriveva il Celestino, imperversarono in tutto il Bergamasco e nel Bresciano. Incendi, distruzioni, incursioni, vendette si consumavano nell'interno dei paesi, oppure tra comuni della stessa zona. « Veri, seppure piccoli, eserciti di persone armate muovevano dagli opposti confini della provincia o del comune, cogli emblemi dei loro partiti, portando ovunque morte» (Castello Castelli: Chronicon Bergomense Guelpho - Ghibellino).
Nel 1296 iniziarono le lotte tra i Suardi e gli aderenti Ghibellini contro i Colleoni e i loro associati Guelfi, cui poi si aggiunsero i Rivola, i Borghi e altre forti famiglie.
Le cronache registrarono commenti e giudizi pesantissimi, specie in riferimento a incendi e distruzioni persino del palazzo vescovile
e di numerose chiese, senza contare case, palazzi e castelli.
Nel 1316 anche Telgate dovette subire l'urto di tanta lotta. Le conseguenze furono disastrose perché, anche se il castello resistette pur riportando evidenti danni, molte case degli abitanti furono abbattute o incendiate. L'antica chiesa risultò parecchio lesionata e l'abitazione dei canonici e dell'arciprete, anche perché adiacente al castello, fu letteralmente rasa al suolo. Il terrore spinse la popolazione a cercare riparo nelle campagne e nei paesi limitrofi; persino l'arciprete Viviano di Mezzate con tutti i canonici abbandonò, in precipitosa fuga, la parrocchia rifugiandosi probabilmente al suo paese d'origine e non fece più ritorno. Lo spavento, i disagi e forse l'età avanzata lo portarono in pochi giorni alla morte che lo colpì «esule», vittima, come tanti suoi parrocchiani, dell'odio delle fazioni di parte. Così lasciò scritto il Ronchetti: «...avvenuto per la rabbia de' fazionari, i quali non contenti molte volte d'aver spinto fuori dalla patria gli emuli, inferocivano contro gli edifici diroccandoli sino da' fondamenti, e ne spianavano delle intere contrade. Che i cani vadano in collera contro un sasso loro avventato ci fa ridere; ma che uomini dotati di ragione, quando non possono esercitare la loro rabbia contro li cittadini nemici, vadano a incrudelire contro le case, e perfin anche contro le chiese, niun potrà mai attribuirlo, che ad un pazzo e cieco furore».


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