rimanere in di lei podestà. Che niun conte, o giudice, gastaldo, o qualunque altra
persona possa alzar tribunale, o esigere tributo, o obbligare a malleveria monasteri,
ospitali, chiese battesimali, cioè pievi...
(dal tempo di Carlomagno e in avvenire)... e che niuno possa esercitar giurisdizione,
non solo sopra de' chierici della detta chiesa, ma nemmeno sopra gli uomini liberi,
o servi, che dimorano nelle case, o sulle possessioni di detta chiesa, né su di lei
livellari, né obbligarli ad alcuna pubblica funzione, né esiger
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cosa alcuna da essi, e nemmen servirsi della loro opera... sotto pena di sborsare
da chi contravvenisse venti libbre d'ottimo oro».
Essere quindi titolari, beneficiari o comunque dipendenti della chiesa battesimale
significava non poco e, in vista anche di tali vantaggi, i posti di coloro che
gravitavano per attività o appartenenza attorno alla vita ecclesiale erano particolarmente
ambiti, ricercati e gelosamente difesi.
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Le pievi, per svolgere proficuamente i loro compiti di evangelizzazione e assistenza
religiosa in vaste zone, necessitavano di una congrua dotazione di sacerdoti e collaboratori.
Mentre nei primi secoli sacerdoti o diaconi residenti in presbiterio con il vescovo si
recavano saltuariamente in diverse località, senza fissa dimora, a svolgere, a modo di
missionari, il proprio apostolato, formate le pievi, sorsero dei piccoli presbiteri
locali costituiti da sacerdoti, diaconi e chierici che si preparavano al sacerdozio
(non esistevano ancora i seminari), in numero proporzionato all'importanza della
pieve stessa. Il loro compito specifico era quello di catechizzare, battezzare,
funerare ed educare convenientemente sotto il profilo culturale e spirituale i
chierici futuri sacerdoti.
A capo del presbiterio c'era un prevosto o un arciprete che doveva coordinare
il lavoro pastorale e la vita comune.
Per Telgate la vita comune del presbiterio è documentata fin dall'anno 820 e così
la pieve con chiesa battesimale divenne collegiata (cfr. Muratori, Lupi, ecc .)
Essa era costituita dall'arciprete, da cinque canonici e da un chierico con ufficio
di maggiore di sacristia (il chierico poteva essere un semplice diacono oppure un sacerdote).
I canonici erano così chiamati perché vivevano nella stessa casa con l'arciprete
(detta canonica) e seguendo particolari «canoni» o regole di vita comunitaria.
L'origine dell'istituzione canonica è da riferire, almeno indirettamente, a un
decreto imperiale. Scrive il Lupo: «In questo stesso anno 816 fu tenuto per
ordine de/l'Imperatore Lodovico Pio un Concilio in Aquisgrana, nel quale oltre le altre salubri
costituzioni fu approvata la regola
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di una vita comune, che canonica si chiamò, per
essere composta a norma dei canoni in questo Concilio stabiliti, da introdursi e serbarsi
in tutte le chiese maggiori del suo Impero, e perciò anche in Italia, ove infatti largamente
si diffuse. Quindi il Clero maggiore, ossia gli Ecclesiastici di esse Chiese furono chiamati Canonici».
Un decreto di papa Gelasio (+ 496) imponeva che le chiese dovevano assicurare vitto,
vestito e alloggio al clero, il quale doveva officiarle. La base economica costituiva
quindi un elemento non secondario della vita di una parrocchia, quando poi questa
aveva in servizio un numero discreto di persone, come nel caso di una collegiata,
l'esigenza amministrativa richiedeva l'impegno costante e competente di almeno una
persona del presbiterio con funzioni di amministratore o economo denominato canevario.
Le entrate della collegiata derivavano da rendite di beni stabili e da decime che si
pagavano non solo da campi di Telgate ma anche da altre terre circonvicine.
Le proprietà e i diritti canonici erano in continua crescita e la loro consistenza
divenne notevole, grazie alle legislazioni dell'epoca longobarda prima e della carolingia poi.
Ancora prima dell'anno 1000, nell'epoca carolingia, quando il vescovo di Bergamo divenne
feudatario di quasi tutta la valle Calepio e di tanto altro fertilissimo territorio,
alle chiese rurali plebane venne confermato il pacifico possesso dei beni di antica
dotazione e imposto che il numero dei chierici o canonici fosse proporzionato alle
ecclesiastiche sostanze «le quali in queste provincie non è da credersi che fossero molto tenui» (Ghirardelli).
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