L'ANTICA CHIESA PARROCCHIALE
La sua descrizione si ricava dagli Atti delle Visite Pastorali di san Carlo Borromeo (9 ottobre 1575), arciprete Pietro Maria Peracchi; del vescovo Ruzini (22 e 23 maggio 1703), arciprete Carlo Cabrini; del cardinale Pietro Priuli (17 maggio 1717), arciprete Bartolomeo Arici; e altri documenti d'archivio.
Da sempre è stata dedicata a san Giovanni Battista perché chiesa battesimale.
Nel 1575 era definita come sufficientemente ampia (gli abitanti di Telgate allora erano 560 in totale, gli adulti solo 330), ma rustica e vecchia.
A navata unica posta verso oriente, come era prescritto per le antiche chiese (praticamente in posizione opposta all'attuale), sorretta da due arcate col tetto a travi e tavole di legno, aerata da piccole finestre senza vetri, chiuse d'inverno con delle tende di tela.
Aveva tre porte, la maggiore orientata verso sera e le altre due ai lati ma non praticabili perché non comunicanti con la pubblica via.
Solo dalla porta maggiore si entrava, e per accedervi occorreva passare sotto un portico a volta, piuttosto nascosto e oscuro, specie in occasione delle Messe mattutine che si celebravano quasi all'alba e delle funzioni pomeridiane e serali dell'inverno.
Il passaggio attraversava parte del castello. La promisquità di uomini e donne che entravano e uscivano di chiesa lungo il buio passaggio non piacque al vescovo Luigi Ruzini che nel 1703 impose all'arciprete Carlo Cabrini di provvedere con qualche rimedio in merito onde levare una «ragione di scandalo».
Le pareti interne della chiesa non erano dipinte, o forse talmente scrostate da sembrare tali. Verrà ordinata la tinteggiatura dopo la visita di san Carlo.
Il presbiterio, posto sotto una volta dipinta, racchiudeva l'altare maggiore, con sedili in legno posti in forma circolare per uso dei sacerdoti celebranti. Era separato dal resto della chiesa mediante cancelli di ferro e sollevato dall'intero edificio di un solo gradino.
Il pavimento era di mattoni, uniforme per il presbiterio, ma con dodici tumuli sepolcrali quello della navata, risultando così irregolare e sconnesso. Allora era vigente la consuetudine di seppellire i cadaveri in chiesa, con tutti gli inconvenienti che tale uso provocava, non ultimo il fetore che dai tumuli emanava, anche perché non sempre sigillati a regola d'arte. Questo era anche uno dei motivi che giustificava l'abituale non chiusura delle finestre.
L'antica chiesa aveva tre altari: il maggiore, quello del Corpus Domini e il terzo dedicato alla Beata Vergine del Rosario.
L'altare maggiore, sormontato da un'icona dorata, non aveva il tabernacolo perché il SS. Sacramento era conservato all'altare del Corpus Domini, ma il visitatore di san Carlo ne impose la costruzione e il relativo trasferimento dell'Eucaristia.
Sotto la mensa era collocata un'urna contenente le reliquie di san Tomaso martire, che qualche volta all'anno

veniva solennemente esposta e venerata insieme ad altre reliquie, per la circostanza mandate dal nobile conte Antonio Marenzi che, per il resto dell'anno, custodiva gelosamente nel suo palazzo.
L'altare del Corpus Domini, centro di attenzione e venerazione per il suo tabernacolo in legno dorato, andò progressivamente perdendo di importanza dopo la costruzione del tabernacolo all'altare maggiore. Da allora anche la Schola (Scuola o Confraternita) del SS. Sacramento, che da tempo immemorabile vi era legata, fu trasferita con le sue attività all'altare principale. Il terzo altare era dedicato alla Madonna del Rosario, piuttosto piccolo e non molto curato, tanto che dall'autorità ecclesiastica ne venne imposto l'ampliamento e l'abbellimento con alcuni opportuni ornamenti. Era sormontato da un dipinto raffigurante la Vergine santa. Ad esso era legata la Confraternita del santo Rosario. Dopo anni di lodevole attività le due Confraternite ebbero riconoscimento ufficiale ed erezione giuridica rispettivamente in data 5 settembre 1633 quella del santo Rosario e 19 dicembre 1694 quella del Corpus Domini. Ad esse erano affidati compiti di cura e gestione dei relativi altari, godendo di entrate provenienti da oblazioni e rendite di fondi ed erano governate da sindaci eletti ogni anno. Per l'altare del Rosario l'onere era di provvedere alla manutenzione e alle funzioni ad esso celebrate, oltre all'obbligo annuo della celebrazione di due uffici. Per la Scuola del SS. Sacramento l'onere era di provvedere all'olio della lampada perpetua (secondo il testamento di don Alberto Vavassori dell'anno 1361), all'illuminazione, sempre con lampade a olio, del SS. Sacramento, per vent'anni, a partire dal 1580 (secondo testamento di don Battista Marenzi dell'anno 1569), e alla celebrazione presso l'altare di 72 Messe e due uffici ogni anno.
Il battistero, gloria e onore per molti secoli del passato di questa chiesa, si trovava ancora ben collocato e conservato nella sua parte terminale nei pressi della porta principale.
Al lato dell'Evangelo stava l'organo (solo le chiese importanti ne possedevano uno nel '500) mentre al lato dell'Epistola era collocato il pulpito o cattedra.
A fianco del presbiterio, a tramontana, si elevava il piccolo campanile con tre campane. Esso non sempre ebbe vita tranquilla, infatti, dopo varie vicissitudini e rovine causate dal tempo e persino una volta da un fulmine, un giorno del 1574 crollò letteralmente a terra fino alle fondamenta, per fortuna senza far vittime, causando però la rottura delle tre campane. Così per la visita pastorale di san Carlo non vi fu suono di campane ma solo impegno a farle rifondere al più presto e collocarle sul campanile nuovo.
Sul lato dell'Epistola si trovava pure la sacristia, piccola ma sufficiente, con tetto a volta e fornita di armadi ben lavorati nei quali si custodivano le sacre suppellettili e i paramenti.
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