Questa vide la luce nel 1689 a Norimberga:
«Die Ehre des Hertzogthums Crain», divisa in quindici capitoli e rilegata in quattro
grossi volumi, 3.523 pagine di grande formato con 533 stampe.
In essa trasfuse il meglio di se e della propria cultura: storia, geografia, topografia,
dati etnografici sull'habitat, abbigliamento e costumi della popolazione, il tutto
corredato da artistiche incisioni. La prestigiosa pubblicazione gli meritò fama e
onore di vero artista.
Il Vavassori si interessò anche di problemi tecnici. Inventò un nuovo sistema per
la fusione dei metalli, elaborò persino un progetto di tunnel per passare sotto il
fiume Liubelj. Studiò l'idromeccanica del lago di Cerknisko e ne informòa, il segretario
della Royal Society di Londra, che lo cooptò come membro nel 1687. Per il suo lavoro
beneficiò solo di un aiuto simbolico da parte dello Stato e sopportò di tasca propria
tutte le spese. Dovette perciò vendere prima la sua collezione grafica e la biblioteca
che fu acquistata dal vescovo Mikulic di Zagabria. Vendette quindi numerose proprietà e
persino il palazzo di Bogensperk e infine la sua casa di Ljublijana.
Con quel poco che gli rimase acquistò una casa a Krsko, dove visse fino al giorno della
sua morte, il 19 settembre 1693.
Visse e morì da vero grande, perché solo un grande sa usare il denaro come mezzo e senza
mai innalzarlo al ruolo di fine.
In Iugoslavia è considerato ancora oggi come uno dei grandi della Carnia. Sulla volta del
salone d'onore del Museo Nazionale di Lubiana è collocato un suo bellissimo ritratto ad olio,
dipinto nel 1885 da Jurij Subic.
Sempre a Lubiana è segnalata la sua casa natale presso il mercato vecchio, nel bicentenario
della morte è stata collocata una targa sulla facciata della sua ultima abitazione in
Gurkfeld (oggi Valvazorjevo nabrezje 4) e nel 1966, presso la casa, gli fu eretto un
monumento in bronzo opera di Vladimir Stovicek. È andato invece completamente distrutto
durante l'ultima guerra il castello Vavassori a Galleneck.
Da noi L'Eco di Bergamo» delineò la figura dell'illustre telgatese con due articoli
pubblicati nel novembre 1979 a firma «ça va» e Gino Cortesi.
CONTE GEROLAMO MARENZI, CAPO CANTONE DELLA CITTÀ DI BERGAMO
Nel 1797, esattamente il 1213 marzo, cessò il potere di Venezia e gli subentrò la
cosiddetta Repubblica bergamasca che divise inizialmente la provincia in 15 cantoni
per facilitare la partecipazione dei comuni al governo della nuova repubblica.
Telgate fece parte del Cantone di Calepio.
Secondo le disposizioni impartite, i cittadini di ogni parrocchia, non solo i capi
famiglia ma quanti avevano compiuto vent'anni, convocati dai rispettivi parroci, dovevano
eleggere i deputati che a loro volta
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dovevano nominare il capo del cantone e due assistenti.
In città fu eletto capo cantone Gerolamo Marenzi, assistenti Marco Celio Passi e Gerolamo
Alessandri. Dimostrazione evidente di quanta stima godesse il nostro Marenzi per il suo
acceso patriottismo e il profondo senso democratico. Nel territorio furono eletti come capi
cantone anche molti ecclesiastici. Il problema finanziario, anche in passato, è sempre stato
un assillo per ogni istituzione; fu di urgente bisogno anche per la nuova repubblica. Perciò
la municipalità il 23 marzo decretava la requisizione della metà di tutti gli oggetti
d'argento delle chiese, esclusi solo calici, patene, ostensori e reliquiari, con la promessa
dl pagarne il valore quando la repubblica sarebbe stata in grado di farlo. II vescovo Dolfin
il 24 marzo dava a tutti i parroci e rettori di chiese e monasteri la sua autorizzazione.
La consegna avvenne il 3 aprile contro rilascio di ricevute,
che poi non ebbero alcun valore, in quanto la repubblica non fu mai in grado di onorarle.
Quanto la chiesa dl Telgate abbia contribuito non è possibile stabilirlo, anche per mancanza
di attendibili inventari da raffrontare; risulta tuttavia che alcune chiese, abbiano versato
argento anche per migliaia di once ciascuna.
CONTE CARLO MARENZI, ERUDITO E SCRITTORE
I nobili Marenzi, dalla originaria terra di Telgate, posero nel secolo scorso la loro dimora
principale in città nell'artistico palazzo in via Pignolo che nel 1435 l'architetto bergamasco
Pietro Cleri aveva costruito per incarico della famiglia Cassotti Mazzoleni, alla quale
subentrarono in proprietà dopo i Marenzi i Bassi Rathgeb. Da allora, i legami dei Marenzi
con il mondo della cultura, dell'arte e della politica furono sempre più numerosi e intensi.
Il conte Carlo nell'anno 1826, già amico dei più dotti cittadini, si affermò nel campo
culturale pubblicando il «Servitore di piazza per la città di Bergamo per le belle arti».
Divenuto commissario dell'Accademia Carrara, divenne purtroppo in parte responsabile di
un pessimo affare: dei 1 236 quadri d'autore noti, dei 194 d'ignoto pennello e di un altro
centinaio senza particolare descrizione e degli altri 240 acquistati dopo il 1796 dalla
commissione dell'Accademia, più di due terzi furono venduti e dispersi all'incanto nel 1835,
essendo commissari i conti Guglielmo Lochis e Carlo Marenzi. Era purtroppo il tempo in cui,
come nota lo storico Pinetti, il freddo odio accademico contro la fantasiosa pittura del
Seicento e del Settecento infuriò per tutta Italia, condannando all'ostracismo opere di
autentici maestri. Furono così dilapidate pitture del Galgario, del Moroni, del Longhi,
del Santacroce, del Magnasco, del Bassano, del Piazzatta, del Baschenis, e di altri autori.
Opere vendute per una media di lire 2,40 ciascuna. Un vero delitto!
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