L'ingegnoso barone Johann Weichard Valvasor, nipote di Gerolamo nato a Lubiana nel 1641. L'alterazione del cognome da Valvassori in Valvasor è uno slavismo, una storpiatura per adeguare il nome alla lingua della Carniola.




In Italia il suo nome è sconosciuto ai più.
Fino ad oggi non esiste una traduzione completa della sua opera più importante: «La gloria del ducato di Carniola», una mastodontica enciclopedia ante litteram di 3.532 pagine, corredate da 528 incisioni e 24 tavole, ripartite in 15 libri e 4 tomi.
Johann Weichard nacque a Lubiana nel 600:
ma i suoi avi erano i Valvassori di Telgate.
Fu un grande scienziato, storico, ingegnere e topografo.
La sua effigie è sulle banconote locali.

Storico, artista, biologo, topografo, ingegnere, scienziato. Erudito eclettico e poliedrico del diciassettesimo secolo, Johann Weichard Valvasor è uno dei personaggi più conosciuti e apprezzati della tradizione culturale slovena, ben noto anche agli studiosi croati e austriaci. Tradotto, pubblicato e celebrato all'estero è quasi sconosciuto in Italia. Ma alle soglie del 1° maggio, data che sancisce l'ingresso di dieci nuovi paesi nell'Unione europea-, tra cui la Slovenia-, pochi sanno che il grande Valvasor era sloveno solo a metà. Per parte di padre la sua famiglia, italianissima di origine, era bergamasca.
Di Telgate.
L'incredibile storia ebbe inizio nel lontano 1581, quando tale Gerolamo Valvassori, intraprendente giovane bergamasco, decise di caricare i pochi averi su un carro malandato, lasciando Telgate per andare a cercar fortuna in Carniola, il cuore dell'odierna Slovenia. Un viaggio lungo e periglioso per i tempi che correvano: del resto il carretto di Gerolamo non doveva essere poi così malridotto, considerato che la sua famiglia apparteneva alla nobiltà bergamasca, possedeva un feudo e anche un piccolo castello. Ma Gerolamo aveva ricevuto una proposta impossibile da rifiutare: lo zio Giovambattista, che viveva in Carniola già da quarant'anni e si era arricchito con il commercio, era morto senza eredi e lasciava beni e castelli al nipote, purché si trasferisse in Slovenia. La fortuna accumulata era parecchia, anche perché Giovambattista era stato aiutato da un altro Valvassori, lo zio Defendente, vescovo di Capodistria, in seguito sepolto a Telgate (la salma è ancora custodita nella parrocchiale). Dunque, se Gerolamo in quel 1581 non avesse preso il coraggio a due mani salutando per sempre amici e parenti, forse oggi la Slovenia non avrebbe uno dei personaggi più celebrati della sua tradizione: cioè l'ingegnoso barone Johann Weichard Valvasor, nipote di Gerolamo, nato a Lubiana nel 1641. L'alterazione del cognome da Valvassori in Valvasor è uno slavismo, una storpiatura per adeguare il nome alla lingua della Carniola. Marija Stanonik, nota slavista e folclorista dell’Accademia delle Scienze di Lubiana, nell’89 concluse un convegno su Valvasor così: « Devo constatare con rammarico di non aver raggiunto la completezza desiderata, semplicemente per la grande abbondanza e ricchezza delle questioni presentate da quello che possiamo chiamare il “Leonardo da Vinci sloveno”: è lecito onorarlo con questo nome per la pluralità di problemi ai quali ha cercato di trovare risposte». Per quanto l'affermazione possa apparire eccessiva, è innegabile che i molteplici interessi, i lavori in ambito storico e le scoperte scientifiche di Valvasor siano sorprendenti. Ancor più strabiliante, però, è il fatto che in Italia il suo nome sia sconosciuto ai più. Barriere culturali insormontabili? Differenze di lingua, di tradizione? Valvasor scrisse le sue opere in tedesco, concentrando i suoi studi sulla Carniola, il che non ne favorì certo la circolazione in Italia. Fino a oggi non esiste una traduzione completa della sua opera più importante: «Die Ehre dess Hertzogthums Crain» (La gloria del ducato di Carniola), una mastodontica enciclopedia ante litteram di 3.532 pagine, corredate da 528 incisioni e 24 tavole, ripartite in 15 libri e 4 tomi. In essa Valvasor descrive minuziosamente la Carniola, l'Istria imperiale e gli allora confini con l'Impero ottomano, che comprendevano parte di Croazia, Marca slovena, pianura del Banato.
Nell'opera è raccolto ogni possibile dato storico, geografico, naturalistico, etnografico, linguistico, relativo alla religione e alla magia, alle curiosità e agli orrori, fissando un quadro completo di quella regione e della cultura europea del tempo. Valvasor dedicò tutta la vita alla stesura dell'opera, percorrendo in lungo e largo terre e feudi, visitando castelli, prendendo appunti, disegnando e interrogando chi incontrava. I suoi schizzi divennero incisioni, di buon valore artistico, scorci unici nel loro genere. Il profondo legame che lo unì alla Carniola, contribuisce a consacrarlo simbolo del giovane stato sloveno, tanto amato da essere ritratto sulle banconote da 20 talleri, in uso ancora oggi. Fu il primo ad esplorare in modo sistematico le grotte del Carso, in particolare quella di Postumia. Studiò a fondo i fenomeni che le governano elaborando una teoria sul comportamento idrogeologico del lago di Cerknica, che a causa delle numerose cavità del sottosuolo in certi periodi dell’anno si svuota lasciando il posto ad ampie vallate di campi coltivabili. Il lavoro considerato valido ancora oggi, nel dicembre del 1687 valse all’autore la nomina a membro della prestigiosa Royal Society di Londra, che in quel periodo annoverava tra i suoi “fellows”, fisici del calibro di Robert Hooke, Robert Boyle e Isaac Newton. Le cronache narrano che durante la seduta nella quale le fu accolta la candidatura del barone, l’esperimento per dimostrare l’esattezza delle conclusioni di Valvasor fu eseguito dal celebre astronomo Edmund Halley, scopritore della cometa che porta il suo nome. Ma l’instancabile scienziato individuò per primo un animaletto presente nelle grotte carsiche, sconosciuto all’epoca e noto oggi come «Proteus anguinus ». I Carniolani avevano raccontato all’autore della «Gloria» di certi draghi che secondo loro di quando in quando strisciavano fuori dalle profondità della terra e portavano guai. Valvasor studiò la cosa e scoprì che il supposto drago era «una bestiola piccola, lunga una spanna, simile a una lucertola, di cui ogni tanto si vede in giro qualche esemplare». Nel 1664 Valvasor collaborò alla realizzazione di una statua dedicata alla Madonna ideando un innovativo procedimento per la fusione del metallo che permise di eseguire il lavoro a Lubiana senza ricorrere ai costosi laboratori di Venezia. Valvasor si cimentò perfino nell'ingegneria civile, elaborando un progetto per la costruzione di un tunnel al passo di Ljubelj, sotto le Alpi Karavanke, lungo l'attuale confine tra Slovenia e Austria nei pressi di Klagenfurt. Rifiutato all'epoca dalle autorità di Vienna per mancanza di fondi, il progetto venne realizzato soltanto pochi decenni fa - nel 1964 - rispettando in buona parte i calcoli effettuati da Valvasor. Nel corso degli anni le grandi spese per la pubblicazione dell'Ehre (sostenute di tasca propria dopo numerosi rifiuti di contributi da parte delle istituzioni) e l'enorme onere per i viaggi e le ricerche costrinsero il barone a vendere tutti i suoi possedimenti, gli strumenti scientifici e soprattutto la grande biblioteca, circa 2.630 titoli, unica per quel tempo, oggi patrimonio della Metropolitana di Zagabria. Fu così che nel 1693, a soli 52 anni, Valvasor morì solo e in miseria a Krško in una casetta che aveva acquistato con gli ultimi soldi rimasti dopo aver saldato tutte le pendenze. Purtroppo, come spesso accade agli innovatori e agli uomini di genio, i contemporanei di Valvasor non furono mai in grado di comprendere sino infondo il suo grande talento.



Alessandro Baldelli
(da “L’Eco di Bergamo” di mercoledì 28 aprile 2004)



INTERVISTA    Maria Bidovec



CITTADINO EUROPEO

Per far conoscere l'opera di Johann Weichard Valvasor al di là dei confini sloveni, in questi mesi è in lavorazione una monografia completa sull'autore, che sarà pubblicata in Germania probabilmente il prossimo autunno. Il lavoro è curato dalla ricercatrice italo-slovena Maria Bidovec e dalla giornalista tedesca Irmgard Palladino. L'edizione italiana, attesa per il prossimo anno, dedicherà ampi approfondimenti al legame tra la nostra penisola e il celebre barone dalle origini bergamasche. Maria Bidovec, una delle due coautrici, è nata e vive a Roma, dove alterna il lavoro di traduttrice e archivista alla Bibliotheca Hertziana a collaboraziani corn la Rai. Laureata in lingue, nel corso del dottorato di ricerca in slavistica all'università La Sapienza di Roma, si è occupata di folclore e racconti popolari sloveni, studiando a fondo l'opera di Valvasor. Come si è avvicinata a Valvasor? «Mio padre è sloveno, conosco bene la lingua e la cultura di quel popolo, quindi la tradizione della Carniola mi appartiene. Lo stesso vale per la cultura italiana: mia madre è di Napoli. L'essere parte di mondi differenti mi accomuna a Valvasor». Valvasor è molto apprezzato in Slovenia? «In Slovenia è studiato a scuola in letteratura e in storia. Tutti ne hanno sentito parlare e lo considerano un genio, un precursore. Gli studiosi lo ritengono una fonte attendibile, perché in tutte le sue ricerche usava rigore e metodo che possiamo definire scientifici, verificando e misurando di persona ogni cosa». Cosa colpisce nella figura di questo intraprendente personaggio tra Rinascimento e Illuminismo? «Valvasor era un grande idealista, capace di mettere a disposizione tutte le sue risorse finanziarie per allontanare dal suo popolo le tenebre dell'ignoranza e per far conoscere all'Europa le meraviglie della sua terra. Ma allo stesso tempo era pragmatico e non esitò a realizzare a spese proprie un laboratorio di incisioni, per stampare i suoi disegni e le mappe. Valvasor è al crocevia tra la cultura italiana, slovena e tedesca. Amò la sua terra, la Carniola, ma allo stesso tempo si sentì cittadino di un tutto più grande, l’impero tedesco. In un certo senso fu cittadino europeo prima di tutti noi». Valvasor scriveva in lingua tedesca e aveva origini italiane. Come mai è quasi sconosciuto in entrambi i paesi? «Valvasor scrisse sì la sua opera in tedesco ma si interessò quasi esclusivamente alla Slovenia: quindi, manca un legame diretto sia con l’Italia sia con la Germania. E poi morì solo quattro anni dopo la pubblicazione dell’Ehre. Il suo lavoro non ebbe la pubblicità necessaria, la tiratura fu limitata e l’opera finì nella biblioteca di pochi studiosi». Valvasor ha tutte le caratteristiche per diventare uno dei simboli della nuova Slovenia, un trait d’union con l’Europa. Cosa ne pensa? «Ai tempi della Jugoslavia, la cultura slovena non aveva lo stesso peso di quella serba e croata e Valvasor fu spesso ingiustamente trascurato. È dagli anni Ottanta che le cose cominciano a cambiare. In occasione del terzo centenario dalla pubblicazione dell’Here, nel 1989, ci furono celebrazioni e convegni. E dall’indipendenza del 1992, l’interesse per Valvasor è aumentato ancora. Le istituzioni si sono mosse e hanno capito la sua importanza anche in relazione all’ingresso nella Ue. La Slovenia è un piccolo stato e ha tutto l’interesse a vantare i natali di un personaggio importante per tutta l’Europa».
Al. Ba.


                                                                             (vai a pagina 39 del libro "Telgate e il suo Crocifisso")